Salvatore Montefusco condannato a 30 anni per il femminicidio di Gabriela e Renata Trandafir

La sentenza di Salvatore Montefusco, riconosciuto colpevole di aver ucciso la moglie Gabriela Trandafir e la figlia Renata nel giugno del 2022, ha suscitato un acceso dibattito sul sistema giuridico in relazione ai crimini di femminicidio. I giudici hanno deciso di non infliggere l’ergastolo all’uomo, attestando che fosse in uno “stato d’animo umanamente comprensibile” durante i delitti. Questa decisione ha sollevato preoccupazioni tra i rappresentanti delle vittime e i sostenitori della causa contro il femminicidio, che vedono questa sentenza come un messaggio negativo per le donne che hanno subito violenze.

I dettagli della sentenza e le reazioni

Il caso di Salvatore Montefusco ha trovato spazio sulle pagine della cronaca, non solo per la gravità del delitto, ma anche per la sentenza finale. Montefusco, 70 anni, è stato condannato a 30 anni di reclusione, ma ha ricevuto delle attenuanti che hanno impedito ai giudici di stabilire una pena più severa come l’ergastolo. Barbara Iannuccelli, avvocata che rappresenta la famiglia di Gabriela e Renata, ha espresso forte disappunto per il contenuto delle motivazioni della sentenza, ritenendole inadeguate e prive di giustizia per le vittime. Da questo caso emergono chiari segnali di quanto sia fondamentale per il sistema giudiziario affrontare con rigore i crimini di genere.

Le reazioni non si sono fatte attendere. Secondo Iannuccelli, le sentenze dovrebbero “valorizzare il dolore delle vittime”, specialmente in questo periodo in cui la sensibilizzazione sul femminicidio sta prendendo piede con sentenze recenti che hanno cercato di affermare l’importanza della giustizia per i familiari delle vittime. Una sentenza di condanna più severa, sostiene l’avvocata, aiuterebbe a ristabilire un certo equilibrio e darebbe maggiore significato alle denunce precedenti effettuate dalle donne.

La posizione giuridica delle vittime

La posizione legale dei familiari delle vittime è complessa. Come parte civile, la famiglia Trandafir può impugnare la sentenza, ma solo per questioni legate ai risarcimenti civili. Tuttavia, la procura potrebbe avere la possibilità di appellare la sentenza per contestare le attenuanti riconosciute a Montefusco. Iannuccelli ha chiarito che uno degli aspetti più preoccupanti della motivazione della sentenza è lo scambio di colpe, in cui le vittime risultano “non credute” dal sistema.

Il documento di sentenza evidenzia che Gabriela Trandafir aveva presentato ben 11 denunce di maltrattamenti da parte del marito. Queste denunce, riportate come un elemento iniziale, sono state ignorate nel contesto della sentenza, mantenendo invece la narrazione su di lui come una vittima di un “clima teso”. Questo aspetto ha alimentato ulteriori critiche da parte dell’avvocata, che sottolinea la necessità di un riconoscimento chiaro del dolore delle vittime e delle loro esperienze.

Le conseguenze familiari

Il delitto ha avuto pesanti ripercussioni sulla vita del figlio minorenne della coppia. Dopo l’assassinio, il ragazzo è stato affidato alla sorella di Montefusco. Da allora, è diventato maggiorenne e la sua posizione è divenuta oggetto di discussione. L’avvocato della famiglia Trandafir ha rivelato che il giovane ha rilasciato dichiarazioni favorevoli nei confronti del padre, che potrebbero essere il risultato di una manipolazione psicologica. La famiglia Trandafir non ha richiesto l’affido in passato, data la convinzione che il giovane avesse bisogno di cure specialistiche in una comunità.

La questione dell’affido ha creato tensioni all’interno della famiglia, e la possibilità di un appello alla sentenza di Montefusco tiene vivo il dibattito sulle responsabilità e sul sostegno delle vittime. Ci si augura che la giustizia venga finalmente restituita e che le sofferenze delle vittime non siano dimenticate nel panorama legale.

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Redazione Ilsovranista